Venne un terremoto. Tutte le case della città furono distrutte. Al tramonto, presso l’unico albero rimasto in piedi, si allungavano le giovani ombre di un uomo e una donna scampati al disastro.
Lui le pettinava i capelli con le mani. Partiva dalla sommità della nuca, lasciava scivolare le dita lungo la schiena, nell’ultimo tratto accompagnava i capelli sino ad aprirli e a sistemarli sui fianchi, che dalla vita si allontanavano morbidi.
Sarà che a volte, anche a distanza di anni, può capitare che si torni al principio. Quando le cose si erano solo immaginate per azzardo. Col rischio altissimo della smentita.
Un giorno aveva visto quella ragazza in un caffè. Sola. Ne aveva osservato appena il profilo dietro la massa di capelli che si muovevano a medusa. Il corpo sprigionava una forza morbida. Stava seduta ma si muoveva. Pareva muoversi nell’acqua. Davanti alla tazzina fumante e nera lui si disse che era così che voleva una donna. Una che prendesse la vita con tutte le onde. Che ci sapesse navigare senza durezza.
Lei aveva notato quel ragazzo che dal bancone, a un metro neanche da lei, la guardava e per guardarla fingeva di spostare cose nella sua direzione. Zucchero, cacao. Sotto gli occhi le erano capitate più e più volte le mani. Ogni donna guarda le mani, forse per indovinare l’attitudine alla cura, all’amore. Le cose sul bancone non venivano afferrate ma attirate da lui. Pure lei. Per questo aveva chiesto poi alle amiche: che, avrebbe finito per innamorarsi di uno stregone?
Venne la notte dopo il terremoto.
Prima che il sonno li prendesse si accoccolarono l’uno nell’altra. Se qualunque viandante fosse passato di lì, se fosse anche venuto a commiserare l’evento, portando viveri per soccorrere i sopravvissuti, davanti all’albero sarebbe impallidito. Con terrore si sarebbe chiesto se mai, nella vita sua, avesse conosciuto l’intimità. Se, per arrivare a vedere una casa, fosse necessario che un terremoto sgomberasse la città di tutte le case.
È facile ed intuibile che questo racconto mi riportasse a quanto accaduto da noi, ma non ha importanza quando e dove, ma ciò che hai mirabilmente evidenziato: la “casa” esiste, resta in piedi, se contiene l’amore e l’accettazione della vita così, come viene.
Già, il tuo colpo al cuore per L’Aquila…
La prima casa da salvaguardare è il nostro cuore.