Sera. Fine autunno in un’isola quasi deserta rispetto all’estate. Era diventata pochi mesi prima la mia isola, per elezione del cuore. Strade vuote, chissà se resisterò, mi dissi, e mare dalla bellezza irreale disteso davanti solo per me e pochi intenditori. Digiunai. Mi addormentai nella curiosità di rivedere quella piccola terra bagnata finalmente alla luce. Il mattino le campane della chiesa vicina alle otto mi svegliarono. Balzai sul terrazzo che affacciava di sghembo sul porto nuovo, l’aria era piacevolmente fresca, assolata. In un baleno mi infilai costume e tuta leggera e corsi al mare con la bicicletta che la padrona di casa mi aveva fornito. Minuti di pedalate. Poi la rovesciai ancora in velocità, affondai i piedi nel morbido della sabbia, via le scarpe via i vestiti, dritta a toccare il mare. Temperatura ottima… bisbigliai, incredula della possibilità di godere ancora agiatamente dei bagni. Ero in paradiso?
Proprio dentro l’acqua dove mi ero abbandonata l’attimo dopo, di un turchese mozzafiato, non so bene perché la memoria pesce scivolò improvvisamente ai miei amori. A come li avessi incontrati e cosa ne fosse stato del tempo della conoscenza. Andai indietro, tanti ricordi li avevo smarriti, solo una sensazione mi veniva addosso come risacca. Un’onda di mare agitato. Il passato era mosso, da cosa e perché non mi riguardava. Sentivo le emozioni lontane in un ribollire inquieto. Ma poi qualcosa nello scenario era cambiato. L’estate era arrivata come cielo rosa di una quasi sera dopo un temporale. Tutta la vita si era placata. Il vento pure. Bonaccia.
Uscii dall’acqua. Distesa sulla spiaggia tiepida al contatto, di un chiaro abbagliante, deserta eccetto qualche gabbiano e un uomo e due donne distanti, le cui voci mi arrivavano appena come sibilo, una domanda mi salì sulle labbra…e se fossimo isole anche noi? Sì, l’uno per l’altro isole sconosciute in cui approdiamo per caso come viaggiatori? Non era un ragionamento, affatto. Era una sensazione del corpo. Mi avvertivo assorbita da quel lembo estremo di terra europea nel mare.
La prima volta che ero atterrata lì, mesi prima, già dalla scaletta dell’aereo ero stata avvolta da una luminosità accecante. E l’aria sapeva ovunque di mare. Mare salato e delicatissimo, raffinato, profumato di anemoni, di pietra arenaria tenera quanto borotalco, dei corpi meravigliosamente viscidi dei pesci, di ricci dentro accesi e dolci come melone tropicale o mitologico, di cetacei che guizzavano lucidissimi, di tartarughe preistoriche forse, di sfumature di colore e vita ovunque palpitanti. Ero stata rapita. Amore a prima vista.
Più o meno lo stesso avveniva negli amori umani… eppure lì qualcosa disturbava la scoperta. Mi tornò la sensazione di essere umana, mentre lì ero pesce anch’io. Amori umani… cosa c’era che spesso non funzionava? Tirai un sospiro profondo, l’aria scese sino alla pancia. La mia pancia morbida attorno al tondo perfetto dell’ombelico sussultò. In bocca sentii un gusto strano, diverso dal sapore del mare. Aveva a che fare con la ragione e la paura. La ragione era l’altra faccia della paura. Nella conoscenza umana interveniva spesso a copertura della prima. Così, provai a fare questo gioco, immaginare il mio trascorso amore come un’isola. Come l’avevo incontrato, e poi conosciuto? Per libero istinto, come la mia isola, girovagandoci sopra guidata solo dal piacere, o col passo interrotto dalle pretese della ragione e le inversioni della paura?
Di colpo mi resi conto della realtà. Non avevo trattato mai nessuno come parte della natura. Come pietra. Da scoprire con fiducia terrestre, curiosità, respirando. Mi piccavo di essere una viaggiatrice e non una turista (specie devastatrice che detestavo)… ma nelle questioni umane come ero stata? La domanda scivolava più a fondo: come ero stata con me? Il gusto amaro di nuovo mi tornò sulla lingua. Lo stesso. Il gusto della ragione e della paura. Anche col mio cuore tutto era funzionato allo stesso modo. Non ero stata certo, io per me, un’isola che avevo girovagato e scoperto con la forza del piacere. Piuttosto, il cuore aveva costituito una terra a sé, lontana. Ero affondata di poco nei ricordi e già avevo avvertivo la distanza tra quello e la carnalità del rapporto con la mia isola.
Eppure adesso… non ero in un castello, nel bel mezzo del Rinascimento, come Montaigne alle prese coi suoi saggi rivoluzionari… ma una filosofia istintiva, antica, occupava proprio me, in costume sotto il sole, tutto il mio essere. Io ero natura. Come quell’isola! Per la prima volta mi sentivo tale. La ragione era arrivata secoli dopo il sorgere della vita, perciò era bene che restasse confinata ai problemi che sola poteva risolvere. Questa evidenza luccicava come l’acqua. Prima della ragione c’era la natura irrazionale. Anche dentro di me vedevo ora ripetersi lo stesso percorso del sistema. Prima la mia natura grezza. Tornavo a sentirla, per uno strano miracolo. Non era fatta di riflessione, un io che osserva e l’altro osservato, in sdoppiamento continuo. Io e io. Io e gli altri. Una distanza incolmabile. Forse una ferita. La ragione a paravento di altre ferite, perse nella memoria di bambini. Così dicevano già da cent’anni gli studiosi della psiche. E il paravento era inutile e altamente dannoso. Nella mia isola, avevo tolto il paravento e mi ero riunita con la profondità selvaggia di me.
Al diavolo i filosofi e anche gli psicanalisti! Ero giunta al cuore sull’onda del mare. Mi ero sbarazzata della prepotenza della ragione fluttuando come una medusa dietro alla corrente… Dove mi avrebbe portata questa corrente? In quali filosofie antiche o nuove, basate sulla carne? In quali amori finalmente liberi e felici? Sotto il sole caldo di novembre, nel parallelo pressoché più a sud d’Europa, mi avvertivo beatamente donna. Sentivo il cuore. Aveva il sapore del più strepitoso frutto di mare. In città avrei esportato presto questo frutto, ma allora non lo sapevo ancora…
Mettere il cervello sul tavolino…questo è il mio sogno..che bello mettere da parte la ragione e saltellare con il cuore..giocare con le emozioni e tuffarsi nel mare, no anzi seguire la corrente….
Bella questa immagine di saltellare con il cuore… effervescente di gioia…
Tante isole…, mai come ora siamo tali! Qualcuna bellissima e irraggiungibile, ma le correnti possono cambiare! Il connubio tra te e la natura è ricorrente e semplicemente stupendo.
Sarebbe bello pensare a un arcipelago felice… dove le isole si guardano e sotto al mare con la loro base si toccano… Proprio ieri vedevo un video della Biennale di Venezia, dove l’Italia veniva rappresentata non come penisola ma come arcipelago…