Ho cercato di respirare nel grigio borghese di un week end, a Milano. Annusando a stento quel po’ di linfa nordica, lontana dallo smog. Lontana dagli happy hour un po’ infelici, di finti giovani dall’accento minimalista così povero di eros. Dai ristoranti di ogni parte del mondo e dalle misurate cene domestiche, con le signore sobriamente eleganti nei loro matrimoni per bene, noiose sino alla morte coi loro racconti di palestra figli e chirurgo estetico, se almeno fossero sincere sugli amanti! Dal contagio della Borsa imperialista e decadente, dai rolex che brillano per le strade come simboli di appartenenza, dall’esercito di schiavi in colletto bianco, in apnea, persi nell’ambizione del potere, nell’illusione del potere. Dalle vetrine di una precisione affascinante, piccolo mondo antico, dalle linee austere e rassicuranti dei palazzi di cultura, dalle piazze salotto di una bellezza gotica ed industriale al contempo, dalle chiese, tante per le strade, neanche si fosse a Roma. Lontana persino dai cani, che sfilano attaccati a guinzagli gioiello, unici amici dei loro padroni, già, poveri diavoli nevrotici anche loro!
Ma, soprattutto, lontana dai ricordi. Di una diciottenne che ha concesso il suo tempo a cosa? Al mito della ragione! Che follia! Vecchia e brutta storia, questa della metafisica. E proprio lì, negli angoli di una Milano lussuosa e cinica, le è mancato il cuore! E ci sono voluti anni, per passare alla rivoluzione. Anni per sentire che a nulla vale vivere senza l’ebbrezza del cuore. Che la ragione è il maggiordomo, e solo il cuore è il padrone di casa. Che non aveva nulla da imparare, da quegli odiosi colletti bianchi, piuttosto aveva da fuggir via dalla loro muffa dorata. Che lei era lei. Era fatta per la libertà. Come tutti, in verità. Che il mondo lentamente si sarebbe liberato dalle sue catene, ma lei era già pronta per farlo. Bastava respirasse. Il resto era avventura.
Finché un giorno di qualche tempo fa lei ha osato. Miracolo! La vita è davvero cambiata. È diventata di carne, e felice. E ha iniziato ad incrociare altri cuori, succede così. Per empatia.
E proprio questo week end milanese… il cuore già conosciuto di un ragazzino. Che lei ama come figlio, se non fosse che non sa ancora come si ami un figlio. Allora diciamo pure un fratellino minore. Coi suoi occhi splendidi, il ragazzino le ha chiesto con ansia come si fa a scegliere la propria strada. Strana nemesi storica. Lei, sotto le palpebre tenere ancora, ha riconosciuto quell’ansia. Era stata la sua. Cattiva consigliera e traditrice. Dietro l’ansia c’è l’insicurezza e la paura che non meritiamo di stare al mondo in ogni caso. Sia che abbiamo risposte, sia che non le abbiamo. C’è il timore che abbiamo diritto ad esistere solo a patto che obbediamo a dei comandi, di famiglia, scuola, società, o chiunque altro, e ci adeguiamo. Da cui la corsa a cercare il vestito che ci sta meglio o meno peggio addosso!
Sono pensieri di cui non ci accorgiamo, ma che ci sono. Ci divorano!
Ho sentito quegli occhi splendidi posarsi sul mio cuore. Come l’acqua del mare. E ho sentito quanto inquinamento spargiamo di continuo in quel mare incontaminato. Noi con la nostra ragione, frustrazioni, illusioni, fabbriche, banche, conti correnti e sensi di colpa. Il nostro mondo costruito e fallace. Allora ho ricercato il mare dentro di me. Da quando ho fatto la rivoluzione mi viene facile. E col mio mare mi sono accostata al suo. Per non sporcarlo di tutto il resto. E ho cercato di fargli sentire che la vita è straordinariamente bella, e non certo una pistola puntata alle tempie. Che può avere fiducia assoluta in se stesso, nel suo cuore. Che quello non mente. Che basta respirare per ritrovare l’agio e l’energia vitale che abbiamo sepolti. Che può concedersi tutto il tempo e il piacere di cui ha bisogno, non finiscono con l’infanzia. Che può ripensare, anche nella grigia Milano, al mare che lui stesso ha amato. Quello di un viaggio avventuroso, lui piccolo nel lontano seppur occidentalizzato Oriente, la Tailandia…
E tra quelle onde dentro cui si divertiva a tuffarsi sino a sera, sì, in quel verde cristallo irreale, respirando, può star certo di sentire e ritrovare, per fantasia, la gioia primordiale di esserci. Capito? Mi hai capito, piccolo mio? Le senti le onde del mare? Non c’è risposta che valga quanto questa. Tu sei. E sei col corpo. E questo basta! Tutto il resto è conseguenza di natura. Verrà. Lo sceglierai per istinto profondo, quello del cuore, come mangi per istinto.
Ma dentro di me devo aver urlato:
giù le mani, Milano! Giù le mani dal cuore. Giù le mani dal mio grande amore!
Giù le mani dal cuore dei ragazzini…
Non sono figli tuoi. Loro sono figli del mare.
Tutti abbiamo tentato, da adulti, di legare le persone a noi care, per difenderle dal canto ammaliatore delle sirene, ma ogni Ulisse ha ” voluto” vivere la propria odissea. Diversi i luoghi ed i costumi, ma uguale la pulsione a cavalcare l’onda del momento. Quanto alla parola libertà, questa ha accezioni diverse e persino una “prigione”, le cui divise prevedono l’uso dei colletti bianchi, può non essere vissuta come tale, se frutto di una libera scelta. Comunque, non poteva essere più fluido, azzurro e trasparente, l’invito che hai rivolto al tuo novello Ulisse, di nuotare a vigorose bracciate, in direzione del cuore, del suo cuore. Forte anche del tuo amore per lui!
Già, siamo tutti Ulisse, e il canto delle sirene fa parte dell’Odissea!
La deviazione delle pulsioni in effetti avviene già da quasi bambini…e poi ci ritroviamo oggi che non sappiamo leggere il nostro cuore…ma non è mai troppo tardi..per ascoltare!!!
Mai troppo tardi!