Romanzo originale, scandito da passioni rovinose (con atmosfere romantico-dark ottocentesche) e da vibranti idee filosofiche (come un romanzo-saggio del Novecento). Attraverso i modi di uno straniante realismo magico, l’autrice prova a “collaudare” il pensiero di Merleau-Ponty dentro la vita di personaggi concreti. È la parola letteraria, ancora più del cinema, a rendere visibile l’invisibile.
Il protagonista, giovane ambizioso di umili origini in cerca di riscatto, sale su una cattedra universitaria, benché da precario, e spiega ai suoi allievi Merleau-Ponty. Ma quello che aveva capito solo con la testa riuscirà a capirlo davvero alla fine di una lunga parabola esistenziale, in rischiosa prossimità della propria ombra. Caso e necessità coincidono nel suo destino. Si innamora su un palcoscenico di Véronique, “bella sino all’inverosimile”, un “essere perfetto”, una creatura divina e insieme demoniaca, figura insondabile, volatile, capace di catturarlo in un sortilegio amoroso fatale… Lui fuggirà per dieci anni e ritroverà accidentalmente il suo passato quasi guidato da un misterioso bambino fantasma.
Storia di un deragliamento, quando “la vita, a un certo punto, sbanda”. Ma qualsiasi esperienza autentica è sempre deragliare da un binario sicuro.
Cronaca di una discesa spericolata nel proprio corpo, a contatto con la vita delle emozioni e dei sensi, lontano dalla speculazione astratta: “è il corpo soltanto che può condurci alle cose”, anche perché noi siamo “un corpo che sente”. Quasi rilettura di Gogol (il tema della pazzia, della distorsione della realtà), diretto da Roman Polanski, tra Roma, Londra e Parigi. Una narrazione a tratti allucinata (come è sempre la vita della mente), onirica, di respiro musicale, eppure sostanziata di conflitti ben reali, in cui ciascuno può riconoscersi, e di eventi del quotidiano (come prendere la metro per andare dalla madre).
Al centro di tutto la ricerca ossessiva di un senso delle cose, e di un pensiero emotivo che sappia afferrarlo. Una discesa agli inferi – ed ogni romanzo in certo senso lo è -, eppure prevale la vita, la purezza dei bambini che salveranno il mondo, la primavera romana con le mura che “grondavano di glicini”. E soprattutto, sotto il calore della luna si scioglie un’armatura mortifera, che serviva solo a difenderci dalla relazione con gli altri.
Filippo La Porta
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