Valeria De Luca

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Apollo e Dioniso

7 Marzo 2013 by Valeria Lascia un commento

Una nuova mitica figura percorre le vie che portano al terzo millennio, un nuovo eroe della conoscenza vivifica l’immaginario collettivo contemporaneo: il navigatore di Internet.

Se proviamo a seguire questo inedito leggendario Ulisse, subito ci accorgiamo che nelle sue fantastiche peregrinazioni non v’è traccia delle dolci sponde del Mediterraneo né degli zéfiri che cantava Omero; niente distese abissali di blu cobalto né odorose ginestre; e non ci sono bruti in carne ed ossa né Nausicaa quale eterno femminino; non c’è il dolore di Penelope né la commozione di Argo.

Quale mai mare, allora, egli affronta?

Il navigatore di Internet solca l’inquietante mare della pura conoscenza.

Egli attraversa senza uscita un fascio di energia, onde elettroniche che lo uniscono ai più sperduti angoli del pianeta Informazione; un materiale di studio continuamente cangiante nutre la sua curiosità, un’enciclopedia in fieri è tra le sue mani; egli è in diretta corrispondenza con i più disparati compagni di viaggio, vi scambia rubriche, conclude affari, intreccia flirt con donne fantasma.

Anche per i fruitori ormai edotti dei ritrovati tecnologici il fenomeno Internet rappresenta una profonda innovazione, un salto nel vuoto, di certo una nuova avventura. Qualcosa di “forte” sta accadendo: i mezzi di comunicazione, paradossalmente, divengono sempre più mezzi di non comunicazione, ovvero di comunicazione “seconda”.1

Meglio. Se la natura del media è quella di collegare realtà umane per portarle ad un punto d’unione, secondo la vocazione di puro transito che lo contraddistingue, oggi paradossalmente il media tende a costituire un dominio, un campo d’incontro assoluto: non più via tra due realtà ma esso stesso realtà seconda, virtuale, dove sostare.

Se la tecnologia ha portato indubbiamente ad un processo di decorporeizzazione dell’uomo, fino a che punto essa potrà modificare quella che i fenomenologi chiamano “l’intenzionalità” umana, cioè la sua innata struttura intersoggettiva?

Ciò che in questo momento, tuttavia, ci interessa focalizzare non è tanto il come di tale processo, oggetto di una nostra successiva analisi, quanto il gradino precedente, il perché.

Ci preme quindi identificare il movente che lancia l’uomo in qualche modo fuori dall’esistenza, in un affascinante quanto terrorizzante mondo immaginario, ultrasensibile, platonico.

La domanda che tiene la nostra rotta ci conduce dritti verso le pagine di un’opera che la contemporaneità chiama ogni minuto in campo e a gran voce, come a dover risolvere un quesito scottante e un’assenza dolorosa. Si tratta della Nascita della tragedia di Nietzsche.

In un’analisi brillante e vigilissima, il filosofo ci porta a conoscenza delle due somme tendenze dell’essere umano, che la mitologia greca superbamente rese nelle figure di Apollo e Dioniso.

Apollo è il dio del principium individuationis2, della bella apparenza e delle figure individuali della vita, rappresentante degli dei olimpici. Egli è il dio del sogno, colui che ispira i sogni ai mortali e con essi cura le loro sofferenze. È il dio della luce che rende visibile, che manifesta, ma che al medesimo tempo abbaglia e nasconde. È il dio dell’arte plastica, dell’immagine. Perché tale dio?

“Così il mondo incantato dell’Olimpo si fende, per così dire, al nostro sguardo e ci mostra le radici. Il greco sapeva e sentiva i terrori e gli orrori dell’esistenza; precisamente per trovare la forza di vivere fu indotto a porre davanti ad essi la luminosa creazione del sogno olimpico. Forzati dalla stretta della necessità, i greci per poter vivere dovettero creare questi dei. Altrimenti come mai quel popolo tanto sensibile, aperto a desideri tanto impetuosi, avrebbe potuto tollerare l’esistenza, se essa non gli si fosse mostrata nei suoi dei circonfusa di una gloria più alta?”3

Il mondo dell’immagine, questo mondo secondo, più glorioso, filtrato dalla luce dell’intelletto, rappresentò l’estremo sforzo della volontà ellenica di dotarsi di un’area di trasfigurazione ove specchiarsi e ricevere conforto. Fu la fragile profondità della sensibilità greca che partorì la potente arma: l’immagine. E Socrate fu il momento supremo di tale perversione. Socrate si oppose ai misteri con le ragioni, costruì il mondo delle ragioni, con esso si difese dal male, dal dolore, dalla morte. Con lui il sapere imparò a fronteggiare l’enigma della vita, fino a farlo annegare nell’ottimismo dell’uomo teoretico.

Tuttavia l’ottimismo della ragione è piantato su un fondo nascosto di dolore e di conoscenza che lo spirito dionisiaco sapeva mettere in mostra.

Dioniso è conoscenza “tragica” ed espressione “tragica” dell’esistenza. Egli è il dio dell’ebbrezza, dio vignaiolo delle feste orgiastiche, oblio della coscienza soggettiva. Con lui cadono le barriere che dividono gli uomini, accade l’immedesimazione con l’uno primordiale. Egli è il dio dello smisurato dell’ “àpeiron”4, rappresenta la fatica, la durezza, la mutevolezza del divenire che tutti travolge. L’uomo che sperimenta Dioniso diviene egli stesso impetuoso flusso dell’esistenza, celebra il ritorno alla natura primigenia. Invece che brandire l’arma dell’immaginario si getta a pieno corpo nel fiume della vita, fa sacrificio della sua limitatezza per dire “sì” all’illimitatezza originaria. È dunque gioia nel dolore, profonda consapevolezza dell’Enigma, non difesa, non surrogazione apollinea, non sogno.

Se nella storia della cultura presocratica i due dei si contendevano il campo, così che mai pensiero e vita, reale ed immaginario potessero vivere staccati, Socrate, ovverosia l’uomo occidentale, ha rotto il superiore equilibrio; egli ha profanato il nome di Dioniso, ha soggiogato gli istinti, ha perso il senso della terra.

Da allora per Nietzsche una cultura perversa domina il pianeta, una cultura vile, incapace della grandezza del dolore, rifugiata dentro la fallacia delle idee, schivante il mistero dell’essere. In una parola, Decadenza.

Adesso possiamo tornare alla contemporaneità tecnologica per farvi reagire la costruzione nietzscheana.

Il navigatore di Internet, è dunque ora di chiederci, quale dio mai impersona?

Meglio. Egli è forse un cultore dell’apollinea immagine o un sacerdote dell’ebbrezza della vita? Veglia su di lui il tiranno fanatico dell’astrazione, sordo alla multiformità dell’esistere o egli sa anche dubitare della logicità della logica?

Il ultimo, vive solo l’Olimpo della conoscenza o ha anche accesso alla “carne del mondo”?

È necessario che ci si interroghi sullo stile di una cultura, se la si vuole capire.

È necessario comprendere perché i contemporanei di Euripide si affollavano nel magico spazio di un teatro, e lì succhiavano il midollo dell’esistenza, e perché i giovani della generazione attuale, invece, librano in fisica solitudine tra potenti linee elettroniche, a cercare lì una loro verità.

Quale tendenza dell’uomo ha preso il sopravvento?

Forse è la potenza immaginante che soggioga i nostri istinti?

Navigatore di Internet, sei forse tu il nostro Apollo?

 

 Articolo pubblicato sulla rivista Beltel, edizione speciale luglio 1997, Milano.

 

1A tal proposito, è bene ribadire che una comunicazione “prima” è quella che si verifica direttamente nello scambio corporeo tattile-visivo-uditivo-olfattivo, tipico della presenza in carne ed ossa di due interlocutori.

2Il principio di individuazione è quella forza umana che, a differenza degli animali che vivono in branco, porta i singoli soggetti della specie a separarsi e individualizzarsi come persone distinte.

3F. Nietzsche, La nascita della tragedia, tr. it. Di P. Chiarini, Laterza, Bari, 1989, pag. 34.

4À-peiron, dal greco antico, “senza limite, illimitato, infinito”. Concetto usato dal filosofo Anassimandro per esprimere l’origine del mondo, qualcosa che abbracciando tutte le cose non può avere i tratti e le caratteristiche di nessuna di esse, ponendosi prima e a monte della loro individualizzazione e differenza. Nietzsche recupera questa espressione per affermare che sotto le categorizzazioni razionali vive il mondo magmatico e indistinto del divenire e delle passioni, rispetto al quale le distinzioni definitorie dell’intelletto sono solo una maschera.

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