Nel 1956, in un seminario tenutosi negli Stati Uniti, al Massachussetts Institute of Technology, nasceva come termine e come disciplina l’Intelligenza Artificiale. Sono passati quarant’anni, la tecnologia informatica ha acquisito dimensioni planetarie. Lungi dall’essersi costituita come esclusivo terreno di studio di specialisti, questa potente rivoluzione ha disprezzato gli stretti confini del laboratorio, l’aria rarefatta dei centri di ricerca e, al contrario, si è imposta alla generalità delle persone.
Il fenomeno informatico è divenuto il mezzo, il modo, la sostanza stessa della comunicazione umana. Dal dominio delle aree commerciali e professionali, esso è penetrato nelle scuole, nelle case, nella corrispondenza degli amanti, nella gestualità più minuta e quotidiana.
1996: siamo in grado di fare un’analisi della più travolgente delle rivoluzioni scientifiche?
Ovvero, prima di ogni altro passo, sappiamo fornirne le generalità, individuarne la provenienza, darle un nome che non sia un immenso punto interrogativo?
Chi sei mente informatica?
Dovremmo rivolgerci allora a un antropologo, una di quelle preziose razze in estinzione, per riuscire ad avere una mappa, una genealogia della mente umana che ci faccia comprendere più a fondo le sue evoluzioni.
Ogni genealogia del misterioso automa spirituale deve tener conto di tre grandi passi ch’esso ha compiuto nel lungo cammino storico.1
C’è un primo stadio in cui la mente è un nominare patico-rivelativo, dal carattere eminentemente sensuale e gestuale. Una sacralità primitiva domina la vita umana, sacralità naturale e istintiva. L’uomo traccia, disegna, al più nomina ma non narra.
A questo segue un secondo stadio, in cui la mente è parola narrativa, parola orale e poetica che narra con pathos2 gli eventi del mondo, che si scioglie in favole,miti, epiche narrazioni. Il suo stile sta nella coerenza discorsiva, nella certezza della prassi.
Ultimo il terzo stadio, ove emerge la mente propriamente detta e con essa la storia, la scienza, la filosofia.
Per poter penetrare nel mondo scientifico e riuscire ad accostare l’ultima delle sue rivoluzioni occorre, allora, comprendere come sono avvenuti questi salti di stile e cos’è successo alla primigenia comunicazione sensuale e sensistica per essere affondata dentro la formalizzazione del logos.3
La formalizzazione del logos ha origine nella formazione della copula “è”. Cosa significa? Ecco, la copula costituisce la prima comparsa del discorso definitorio, ovvero il discorso che non si preoccupa di sentire i fatti del mondo o di narrarli epicamente, ma che è teso a formulare pure affermazioni e negazioni, cioè un giudizio logico delle cose.
È questo che mette in moto il grande Socrate, poi Platone, Aristotele, e così via, risalendo la tradizione occidentale, che è tradizione compattissima e omogenea nella sua struttura.
Il discorso definitorio ha a che fare con diagrammi ed elementi, è una stilizzazione mediante cui si procede verso un pensare analitico. Ciò che assume posizione primaria è lo spazio proposizionale. Il significato logico non ha altro contenuto che il suo essere collocato dia-grammaticamente tramite una lineare alternativa di “è” e “non è”. “Socrate è ateniese è la proposizione risultante da tale operazione e ciò, da un punto di vista logico, significa: “Socrate non è un animale, non è una donna, non è un persiano, non è uno spartano” (vedi figura).

Ma perché si è abbandonata la parola patica per tali relazioni topologiche? La rivoluzione era già dentro l’alfabeto.
É la pratica della struttura alfabetica che realizza la prima possente “linearizzazione” dell’umano ragionare, è in essa che il logos si travasa in prima mirabile forma. L’uomo greco aspira alla idealizzazione, a componenti teoriche in cui sciogliere la sillaba, a segni visibili cui assegnare un’univocità di senso.
Con l’alfabeto siamo alla svolta dell’astrazione, della capacità di pensare puri pensieri;al primo apparire di una verità da estendere tramite segni, certa, oggettiva, pubblica, cioè condivisibile tra più persone perché non legata alle “distorsioni” emotive di nessuno.
L’alfabetizzazione è possibile solo se le lettere si annullano in se stesse e assumono l’esclusivo valore di transito e di mezzo, secondo la massima convenzionalità.4 Con il suo avvento, tutto il mondo del sacro progressivamente declina. Siamo intorno al 700 a.C.: la qualità della cultura dell’uomo si modifica.
Ora l’intelligenza artificiale sconta proprio questa origine. L’origine consistente nella vocazione primigenia del “quadrupede razionale” a oggettivare il senso delle sue esperienze, travasarle in segni facilmente dominabili, creare una verità tanto pubblica e unitaria da essere divenuta planetaria.
Certo la mente logica, in tale superbo cammino, si è via via attrezzata dio una complessità crescente , e via via, così, le è sembrata più lontana, quasi estranea, l’antica patria: la Grecia del V secolo. La logica, infatti, dimentica nel suo cammino il contenuto della propria forma e nasconde il fatto inconfutabile che da più di due millenni i salti che compie avvengono dentro e solo dentro la scrittura, secondo una coerenza così mirabile da lasciare senza fiato.
Ecco, la rivoluzione informatica, della quale dovremo saggiare la straordinaria potenza nel saggiare le vite umane, ha una ben precisa radice, e solo risalendo ad essa potremo visualizzarne il dna: tale radice è la logica greca. Potremmo dunque chiamare la svolta informatica una “endorivoluzione”, cioè una rivoluzione che non ha sviluppato nuove premesse, che non esibisce un altro fondamento, quindi non costituisce una nuova “soglia” di civiltà. Al contrario è la grande civiltà logica nella sua apicale conquista.
Paragoniamola pure, allora, questa discendenza, al rapporto che intercorre tra un’equazione e la basale numerazione araba, che è, pur nei vicendevoli passaggi, rapporto di derivazione. Rapporto che, invece, non sussiste tra i numeri e una tragedia di Euripide.
Tutto questo ha un peso e un valore per l’uomo che vive l’attualità.
L’uomo della passata generazione, in specie, cioè l’uomo nato in una tradizione culturale assai più vicina a quella umanistica che all’odierna comunicazione telematica. È vero, certo, bisognerebbe riconoscere al suo spirito d’osservazione che vi è stato davvero un grosso colpo d’acceleratore nella logicizzazione del mondo; hai detto sapientemente, la tua gestualità è invecchiata in quarant’anni più di quanto non abbiano saputo fare dei secoli.
Pero… fermati! È sempre la medesima cultura occidentale, nella sua folle corsa verso il dominio del mondo, con sempre la sua potente arma, il segno che astrae.
Ogni ripensamento, che possa o debba venire, non può che nascere nel cerchio razionale delle “idee” che il genio platonico aveva osato disegnare. Un Platone ai confini dell’inconsapevolezza, come ogni vero pioniere, un Platone in bilico tra la vecchia e la nuova cultura. Giano bifronte, da una parte ancora innamorato della parola orale e vivente, dall’altra il primo”alfabeta” che scrisse la logica e uccise il mito.
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Articolo pubblicato sulla rivista Beltel, edizione speciale luglio 1997, Milano.
1Per queste tematiche si veda: Carlo Sini, Il simbolo e l’uomo, EGEA, Milano 1991.
2Pàthos, dal greco antico, “ciò che si prova di bene o di male nel fisico o nella morale”, “passione”. La narrazione degli eventi non era a quel tempo dominata da un freddo e scientifico distacco, in vista di una ricostruzione “oggettiva” dei fatti, bensì chiamava in causa il coinvolgimento emotivo del narratore stesso.
3Lògos, dal greco antico, “parola, discorso, ragione”, radice linguistica della nostra “logica”. Qui la narrazione assume quei connotati di oggettivazione, distacco e controllo dei contenuti, che ancora ci caratterizzano oggi.
4Si incomincia, cioè, a considerare il segno grafico come ininfluente ai fini dell’espressione del contenuto: le lettere “S,O,C,R,A,T,E” sono pensate come un puro mezzo convenzionale per indicare un significato, “Socrate-uomo ateniese”, che al limite, se ci mettessimo d’accordo in altra maniera, potrebbe essere espresso con altri segni grafici senza perdere nulla del suo significato.
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