Dopo aver vagato dentro l’anima telematica, osservando allo stato degli atti quanto essa è capace di produrre, s’impone una prospettiva progettuale, ossia una considerazione circa la vitalità che essa saprà donare alle epoche future.
Partiamo da un convegno , La narrazione delle origini, Spoletoscienza 1990.
Matta vi presenta una serie di videotape. Quest’artista -architetto cileno, cresciuto nella temperie culturale di Le Corbusier, Garcia Lorca, Dalì, entra come un vulcano in eruzione nella contemporaneità tecnologizzata, e vi apre finestre che danno sull’infinito.
Diamogli la parola:
“È l’idea che la forma cambia costantemente, quello che la gente chiama un disegno, un quadro che non è che una fetta, una fetta di salame. E il salame è fatto di tante fette. Io ho cercato di riprendere il disegno quando si sta facendo, quando si vede l’errore, quando si vede il dubbio, si vede l’esitazione, e nello stesso tempo appare la via che è poesia… Per me la poesia è una specie di…innaffiare il linguaggio… ma facciamolo vedere. È come il vulcano nell’eruzione interiore nel momento in cui l’immagine appare… l’idea di afferrare il funzionare reale del pensiero, cogliere il momento in cui si “riorganima”… Per me è il non sapere. Una immagine che somiglia un po’ alla eruzione interiore, al funzionare di quello che chiamiamo pensiero… Vedi quest’immagine, per esempio: c’è qualcosa del sangue. Voglio dire: questa cosa che chiamiamo cervello è un curioso mondo. La memoria distilla così le immagini scadute, le immagini vecchie, rovinate. Ma da questo innaffiare appare a un certo momento un’immagine. Noi dobbiamo saltare su quest’immagine per vedere se la possiamo usare per la nostra coscienza. La nostra coscienza non dev’essere soltanto un dizionario, dev’essere un’architettura, un edificio dove si vive, dove si abita. Questo mio video è elementare perché è molto difficile avere queste macchine per disegnare, non le ho mai, le ho per qualche minuto, per un’ora diciamo; è perché sono tutti preoccupati della pubblicità… Sì perché l’origine adesso… In ogni momento si nasce. Avere fatto una cosa (si riferisce al suo disegno) che chiamo “hom-mère” , “uomo-madre”. Perché io sono la madre di me di domani, uno sta partorendo se stesso nel momento in cui, come nel disegno, tu salti sull’occasione di luce, di illuminazione del pensiero, la tua coscienza cresce. E l’interesse fino a morire è vedere cos’è questo essere umano: è un progetto. Ecco perché più dell’origine mi interessa la funzione utopica… che fa tanta paura, l’idea di avere un progetto umano, di creare un mondo, una società che non solo ubbidisce ma crea. Ci manca l’utopia, in un certo senso, il culto dell’utopia. Quello che si chiama poesia è il nutrimento dell’intuizione. L’intuizione è un occhio, è un desiderio profondo di diventare un altro, di passare all’altro, al seguente, a quello che è più cosciente… In fondo è il coraggio di pensare, perché pensare non è usare convenzionalmente la logica, è al contrario voler scoprire una logica dell’invisibile, dello sconosciuto, del disordine… La poesia detesta servire… Amare è il ruolo dell’arte… Perché se non sia ma non si vive… E poi la forma è un tranquillante… I video sono una possibilità di afferrare il funzionare non a fette, non nell’opera compiuta, ma quando si va facendo…”.[1]
Abbiamo inteso raccogliere, dinamicamente, stralci dell’intervista di Matta, in cui egli presenta la sua “poesia tecnologica”, perché attraverso il farsi del suo fantasioso discorrere emerge un quid di straordinariamente positivo: la forza del disordine. Non si tratta di un disordine perseguito come manifesto, o di una velleità da miscredente, ma di uno stadio necessario prima della bellezza della forma. Le sue parole, così come i suoi videotape, esprimono forte l’esigenza che ha l’epoca attuale di scompigliare l’ordine che la ingabbia per ricominciare a pensare. Oltre la convenzione logica, pensare è prima di tutto movimento vitale, costruttore di ordine, che non tollera, tuttavia, di restare imprigionato nel suo prodotto. Non è la tecnologia informatica che potrà fermare tale respiro: Matta crea con le macchine dell’attualità. Non può la tecnica distruggere l’utopia.
Certo, siamo in uno stato di sopore intellettuale. Certo, c’è una produzione culturale di massa, che avanza per clonazioni, che rende giustizia ai “morfologici istinti”. Ma… pensare è forte quanto l’erompere di un vulcano… attendiamone, pazientemente, le prossime performances… forse, un Neoumanesimo è più vicino di quanto speriamo!
Articolo pubblicato sulla rivista Beltel, edizione speciale luglio 1997, Milano.
[1] R. S. Matta, L’origine è la trasformazione, in La narrazione delle origini, a cura di L. Preta, Laterza, Roma-Bari, 1991, pagg. 225-229.
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