Valeria De Luca

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L’ombra del nichilismo

7 Marzo 2013 by Valeria Lascia un commento

C’è un cuore che batte nel petto del gigante Contemporaneità: il nichilismo.

Un battito che supera il rumore delle strade, sale sugli aerei supersonici, si insinua nei corridoi delle grandi Istituzioni, si nasconde tra le righe delle pacifiche letture serali. Un battito che disorienta i fonendoscopi degli scienziati imperanti e colora di fosche tinte la conversazione della gente profana. È in specie nell’ultimissima gioventù che sembra esplodere in più gran forza “la forza del nulla”.

Di cosa si tratta?

Potremmo decodificare quest’antienergia crepuscolare come una sorta di stanchezza e disorientamento strutturali che nell’uomo di fine secolo hanno raggiunto la tipicità di un morbo. Esso si esplica nel precipitare della totalità delle esperienze umane nella categorie dell’effimero: lungi dal costituire longevi parametri, le opere dell’uomo sempre più hanno il carattere di un’accelerata transitorietà. Una sorta di consumismo cognitivo connota il comportamento del “quadrupede razionale”, il senso vive la labilità dell’usa-e-getta, i valori scemano in una massificazione ed omogeneizzazione da pret-à-porter, il nulla assale la componente creativa non più ispirata.

La cosa desta gran sospetto.

La generazione attuale, infatti, è figlia legittima e nobilissima della rivoluzione tecnologica. Essa ha succhiato come latte materno la multimedialità, euforica esplosione di possibilità di comunicazione dei mezzi espressivi.

Dov’è mai, qui, povertà?

L’epoca degli ipertesti, dell’informazione interattiva, della genesi continua di nuove “finestre” sul mondo evoca l’idea di potenza. Il documento elettronico, il cui scheletro è una rete di noti interconnessi chiamanti al lavoro lo stesso lettore, che ne diviene a sua volta un veritiero costruttore, suggerisce, a primo impatto, un vertiginoso incremento di creatività.

Ecco allora lo sbigottimento di fronte ad un fulminante paradosso: come può una cultura altamente produttiva portare nel suo seno, come segreto mostro selvatico, il satiro nichilismo? Come può una cultura ottimista e solare, chiara e distinta come tale è il linguaggio formalizzato, scavare dentro di sé una sorta d’insenatura, un’oscura incertezza, un’ombra appunto? Quale contraddizione è mai questa?

Certo la frequentazione attenta della storia dovrebbe renderci adusi a tali scandali; ad esempio, anche l’esplosione del fenomeno “streghe” fu esplosione assai più appartenente all’albeggiante Umanesimo che non al torbido Medioevo, e ciò dovrebbe metterci in guardia sulla complessità quantomeno bifronte di ciascuna soglia di cultura. Tutto questo tuttavia non risolve ancora il nostro specifico problema: perché mai in un periodo d’abbondanza d’Essere il Nulla si profila tanto minaccioso?

La questione ha un cuore filosofico.

Siamo abitanti di un grande pianeta Segno.1 Ovverosia abbiamo lasciato alle spalle da più di due millenni le antilogie di Protagora, la parola persuasiva di Gorgia, il calore della retorica. È la logica, nelle sue infinite possibilità, ad occupare l’intero nostro codice genetico.

Le possibilità diciamo pure seconde della logica, cioè il mondo sofisticato degli “iper”, le soluzioni alla potenza, che spezzano il processo di lettura sequenziale, le virtualità dei mezzi tecnologici, a tutta prima sembrano far divenire il fruitore contemporaneo un novello sacro sacerdote, l’interprete attivo di una realtà nuovamente oscura, che chiama in campo il mistero dell’eterno ritorno e della circolarità delle cose proprio della cultura antica. Dal modo chiaro e distinto di Cartesio ad una “barocchizzazione” ed “estetizzazione” del logos, ora prediligente le potenzialità del labirinto rispetto alla geometria classica. Tutto ciò nasconde, tuttavia, un’origine e tradisce un compromesso: la forma del contenuto. La forma del contenuto di questa cultura è il segno che astrae.2

Seppure il processo di sofisticazione di tale segno si è a tal punto raffinato da divenire invisibile, seppure il grafema è elettronico e non più d’inchiostro, la “vicinanza” elettronica è diversa da quella patica.3 Meglio. La contemporaneità multimedializzante sembra, di primo acchito, aver restituito la complessità del corporeo, cioè una sinestesia, una fusione delle possibilità sintetiche tale che il nostro approccio al mondo sia per così dire divenuto perfetto e totalizzante. L’audio-tattile-visivo vive il sogno di una onnipotenza divina: vale a dire la sostanza logica sembrerebbe aver riacquisito l’immediatezza e la vicinanza delle culture orali, potendosi così sentire finalmente “piena”.

Ma tale pretesa onnicomprensiva, ovverosia la pretesa di una logica che vuole oggi essere a tal punto completa da divenire anche corporea, urta contro una necessità, contro quella che Gadamer chiama una circonferenza di pregiudizialità: la logica vive dentro un suo orizzonte di senso. Altra dalla sacralità delle civiltà orali, altra dalla sensualità delle associazioni antilogiche, la “iperlogica” contemporanea, sonora, interattiva, costituita da reti neuronali, è ancora e sempre di più il potere astraente della Grecia del V secolo.

Ora, e con maggior forza, perché il nichilismo?

Il nichilismo, eccone un’interpretazione più profonda, è antico quanto è antica la logica, perché l’al di là della logica è l’indifferenza della separatezza discorsiva, cioè il nulla che sta sotto qualsiasi proposizione logica.4

Alla contemplazione patica si è sostituita la modalità, ovvero la strumentalità del discorso, all’originaria fusione mimetica la straordinaria capacità del segno di tenere a distanza. Il lettore ipertestuale è pur sempre, forse di più, un lettore analitico dentro il diagramma che è il “foglio-mondo”.5

Il rezzo di questa potenza è il nichilismo. Il nulla vive in nuce in codesta pratica estraniante. Esso è l’indivisibile della logica, la metà nascosta, l’essenza stessa del rapporto di strumentalità col mondo che la stessa sua struttura epistemologica esige.

Ecco allora che la nausea affiorante dalle pagine di Baudelaire, lo “spleen” dell’Europa decadente, l’assenza di valori qual’è registrata dai moralizzanti osservatori della generazione attuale sono tutte punte fenomeniche di una medesima grande cultura, la cultura logica che ha superbamente assorbito in sé tutte le capacità espressive e comunicative dell’uomo.

Così descriveva Nietzsche in un frammento del novembre del 1887:

“Descrivo ciò che verrà: l’avvento del nichilismo. Posso descriverlo ora perché si produce ora qualcosa di necessario, i segni di ciò sono dappertutto, oramai non mancano per questi segni che gli occhi… L’uomo moderno crede sperimentalmente ora a questo ora a quel valore, per poi lasciarlo cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre più vasto; si avverte sempre di più il vuoto e la povertà dei valori; il movimento è inarrestabile, sebbene si sia tentato in grande stile di arrestarlo. Alla fine l’uomo osa una critica dei valori in generale; ne riconosce l’origine; conosce abbastanza per non credere più a niente; ecco il pathos, il nuovo brivido… Quella che racconto è la storia dei prossimi due secoli…”6

Ciò che dobbiamo esclusivamente cogliere da questo straordinario archeologo della cultura è l’indicazione della necessità del fenomeno del nichilismo.

Fermiamoci a formularlo un’ultima volta.

Il nulla di senso vive di necessità dentro la lacuna del logos che è la sua specifica ricchezza: la distanza. Ricchezza e povertà cadono insieme. L’una non vive senza l’altra. La loro relatività è indissolubile.

Allora? Allora attenzione alla pienezza tecnologica contemporanea, essa non può sussistere che a partire da un vuoto originario: l’indifferenza dell’astrazione.

Lungi dall’enunciare catastrofi millenaristiche, si tratta di capire il logos: esso oggettiva, analizza, scinde, non coagula, non fonde, non “sente”.

Il nulla, allora, come l’altra faccia dell’essere logico.

Dall’ ”essere o non essere “shakespeariano al logico “essere e non essere”.

Articolo pubblicato sulla rivista Beltel, edizione speciale luglio 1997, Milano.

 

1 Espressioni come “Pianeta Segno” vogliono provocatoriamente indicare il peso e l’importanza della scrittura nella nostra cultura occidentale e contemporanea.

2 Il contenuto della nostra cultura, fortemente caratterizzata dall’oggettività e dalla razionalità, è così costituito perché deriva da una certa forma di scrittura, quella alfabetica.

3 Si intende con ciò dire che un conto è sentire, toccare, annusare le cose, un altro è rappresentarle tramite la virtualità: in questo secondo caso la distanza che ci separa da esse, evidentemente, è superiore. La scrittura elettronica sconta così il difetto di ogni realtà nata all’ombra della scrittura alfabetica greca: preferisce indicare le cose e il mondo con segni, piuttosto che viverli paticamente.

4 Quello che si sta qui dicendo può essere riassunto brevemente come segue: l’enorme ricchezza della scrittura logica consiste nel separare e giudicare i termini di qualsiasi discorso – es. “Socrate è ateniese e non-è spartano” – ma per poter realizzare questa operazione, vale a dire separare ciò che è “questo” da ciò che è “quello”, risulta inevitabile aprire una spaccatura, una distanza tra le cose (“spazio proposizionale”). Allora: “questo è questo”, “quello è quello”, ma la distanza, la differenza tra i due termini non può essere né “questo” né “quello”, cioè è il Nulla che inevitabilmente sta dietro l’Essere di qualsiasi cosa pensata logicamente.

5 Per il concetto di foglio-mondo si vedano: Carlo Sini, Teoria del foglio.mondo, Cuem Milano, 1994; Pratica del foglio-mondo, Cuem, Milano, 1995. Ad un livello solo indicativo possiamo dire che con questo concetto si cerca di interpretare il rapporto tra l’uomo e le cose, in analogia con l’atto della scrittura: l’uomo muovendosi, pensando, agendo, parlando disegna il suo spazio circostante, che si configura così come un globale foglio bianco passibile, appunto, di essere scritto e dipinto dalla creatività umana. L’uomo occidentale, quindi, in base alla struttura della sua scrittura logica, dà una configurazione al mondo che implica il nulla nichilistico tipico di questa stessa scrittura.

6 F. Nietzsche, Epistolario, vol. I, 1850-1869, delle Opere di F. Nietzsche, Adelphi, Milano, 1977.

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