“Sei uno di noi”. Così uno striscione che vedo erigere sulle mura vecchie di una casa, di un’isola a Sud d’Europa, il secondo punto più a sud, dicono le carte del mare. Vicinissima all’Africa. Crocevia di destini. Sull’isola non spira il Maestrale, questo 8 luglio storico, né la Tramontana, né lo Scirocco o il Libeccio o l’Ostro, eccetera. Ma un vento anomalo, viene da Roma. Dall’antico centro del Mondo. È scivolato fuori dai palazzi dei potenti, ha lo stile asciutto e caldo di un uomo del Mediterraneo, figlio di un falegname, narrano gli scritti per chi vi crede, che parlava dell’amore. Amore? Parola sconosciuta ai giorni nostri e sempre. Quasi che l’orecchio non si abitui mai al suo suono sordo, ancestrale, proveniente da una grotta nel centro del corpo. Amore. Di contro la grande indifferenza globale, sotto il cui mantello porpora siamo tutti degli Innominati. Ci vuole un nome per amare. Devi mischiare la tua vita e la tua pelle con quella di altri sconosciuti. E perché? Prima di ogni motivo della ragione, prima di ogni convenienza economica o politica, che spinge ad avvicinare certi e non altri, oggi sento quel vento che spira, e la grotta, in me. Una cavità dentro cui l’eco del mondo arriva coi toni essenziali e geometrici dell’ombra. Tutto pare ridursi al necessario. E il necessario cos’è? Guardo negli occhi, a mezzo metro, sopra una jeep malmessa, quest’uomo anziano che si muove sulla memoria dei passi insistenti e persi nel tempo dell’amore. E gli dico, giusto il lampo di uno sguardo, cosa sento io. Sento di essere nella grotta marina, lo sciabordio dell’onda, il freddo acquoso, il silenzio. Il tempo fermo. Così da secoli e secoli. E sento una corrente, un flusso pieno, che mi unisce al resto. Sono, e sono dentro qualcosa e con qualcuno. Nella grotta sono sola, eppure la roccia e tutto quanto mi accoglie mi unisce ad altri respiri. Scambio aria con un fuori, che è fatto di respiri. È una rete dentro cui sto, di corda, annodate ci sono le mie emozioni. Nulla di deciso dalla mia ragione, un dato di natura, di cui mi accorgo in una percezione originaria. E prima di interessarmi a parole, scritti antichi, rivelazioni, confessioni, io sento di essere nella vita con altri. Non posso negare quest’evidenza. Parte dal mio corpo. Abito lo stesso mondo. Quest’evidenza ha un suono, nella mia grotta. Il suono del mio respiro. Che sale dalla mia pancia ed esce e rientra, in circolo. L’unica chance che ho per restare viva è di stare in questo circolo. Uno di noi, dice il manifesto… Il noi non lo scelgo. Respiro e basta. Lo scelgo dopo, quando altre motivazioni entrano in gioco. Ma se riprendo solo a respirare, quest’atto mi basta per accorgermi di chi è con me. E solo così mi accorgo anche di me. Basterebbe essere un egoista sino in fondo, per amare. Non le nostre mezze misure dell’egoismo, cattive, atroci persino, ma scialbe alla fin fine, prive di potenza, sulla cresta dell’onda. Se vado giù come un sub nella mia grotta, allora sì, mi accorgo che essere è un’altra storia.
Sarei voluta esserci….lì…
Ti saresti sentita leggera, assolata, felice per qualcosa di solo umano, appartenente a tutti nel profondo… essere fratelli…