Sei stato la mia ossessione. Sin da piccolissima. Non ancora fiatavo e già avevo conosciuto il tuo influsso fatale. Tu nelle mani sempre operose di mia madre, tu nella sigaretta compulsiva di mio padre. Serravi le emozioni, le stringevi all’osso, davi ultimatum ad ogni passo. Mi strappavi il gusto incosciente dell’ozio, il trastullarmi nel niente che è tutto, la conoscenza dell’istinto. Eri il signore assoluto della vita mia e delle persone che amavo. Non ti facevo domande, non osavo, eri la potenza oscura cui nulla si chiede, cui si obbedisce forzatamente, basta. Tu nei libri, nelle tappe del corpo, tu persino nei sogni, neanche lì mi lasciavi in pace.
Sinché, già donna, hai stretto il nodo più del consentito. Stretto, strettissimo. Mi avevi in pugno! E potevi distruggermi, costringendomi a ingoiare la colpa dei nostri mancati appuntamenti. Un attimo. Il respiro mi è mancato. Ti ho odiato. Maledetto. Maledetto sia tu per sempre!
Proprio allora, sei cambiato…
Ti ho sentito dentro di me. Eri il mio respiro, il battito della mia vita. Non l’estraneo e violento maschio che era stato il mio terrore, no. Non più. Eri un amante dolcissimo, che amava ogni parte di me. Vivevi con me. Da sempre. Nel ritmo interno e misterioso del mio esserci. Non mi davi ultimatum, musica invece. Per danzare. Per amare. Per svolgermi come filo d’Arianna, beatamente. Per indovinare l’aria e la temperatura adatte a spiccare i voli.
Non eri tu il maschio odioso, era solo la misera caricatura di te. Un fantasma che altri avevano evocato. Il Mondo, con le sue tirannie. Ora conosco la sua menzogna. La cattiveria del fantasma è sottile. Agisce sul non detto, sulle memorie antiche. Non è teso a costruire, benché appaia esattamente tale, ma a distruggere. Rade al suolo la felicità che accade, come la vita. È il frutto di calcoli a tavolino, di paure trasmesse insieme ai testamenti, di forzature, di artificio. Non è natura. Non crede nella natura. Non si fida! Lui, il fantasma, è il grande controllore, la ragione sentinella.
Oggi? Mi chiedi, oggi? Oggi sono nella battaglia finale. Quell’orrido fantasma moribondo torna, ahimè. Non me ne sono sbarazzata ancora, godo di tregue.
Ma ora so chi è il pessimo impostore, e non mi avrà. Te lo giuro.
Adesso che ho conosciuto te, mio dolcissimo amante, lui è l’ombra che scaccerò.
Scelgo te. L’amore. La felicità.
Scelgo te, non temere, amore mio! Che ti muovi al ritmo dell’istinto, e non fallisci, fiuti la vita.
Tu sei il tempo della mia profondità. L’unico vero. Non l’orologio, ma il corpo che mi ama.
***
…dalle “Confessioni” di Sant’Agostino, Cap. XIV del Libro XI: “Allora che cosa è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”.
Questo padre padrone non smetterà mai di influenzare le nostre esistenze. Lo hai personalizzato talmente bene, da farmi dimenticare che stavi parlando del signor T.
Già un padre padrone. Che agisce il suo potere col non detto. Mi hai fatto ripensare alle pagine stupende di Manzoni sul padre padrone per eccellenza, quello della monaca di Monza. Lei che ancora adolescente si prepara un discorso per affrontare suo padre nella convinzione di riuscire a manifestare il suo rifiuto di entrare in monastero. Non ci riuscirà, ovviamente. E proprio perché aveva previsto solo due possibili posizioni, chiare e aperte, del padre nei confronti della sua scelta, una contraria e l’altra positiva. Ma Manzoni, con la sua genialità, tira fuori la terza, che il padre assumerà: quella vera del ‘male’, del tutto silenziosa, che agisce sui sensi di colpa.