Valeria De Luca

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Letteratitudine -16 settembre 2014 – (di Giuseppe Giglio)

16 Settembre 2014 by Valeria Lascia un commento

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https://letteratitudinenews.wordpress.com/2014/09/16/respira-di-valeria-de-luca/

I bambini salvano il mondo
(di Giuseppe Giglio)

Recensendo Il mondo salvato dai ragazzini (1968), della sua grande amica Elsa Morante, Cesare Garboli diceva del tema di fondo di quel gran libro (che era già un classico al suo apparire): «la rivolta contro l’irrealtà, la liberazione dalle false immagini mutilate e ottuse della realtà in cui viviamo». E proprio quella rivolta e quella liberazione sono le fibre del robusto e sottile fil rouge che innerva Respira, il nuovo romanzo di Valeria De Luca (abruzzese, trapiantata a Roma), da poco in libreria per i tipi del raffinato Ianieri Editore. Un racconto lungo, più che un romanzo, dove il pensiero di uno dei maggiori esponenti della fenomenologia francese del Novecento, Maurice Merleau-Ponty, è come disciolto in un originale amalgama narrativo: a rendere visibile l’invisibile (per dar subito luce al nucleo dell’universo filosofico del transalpino), a «salvare tutti quelli che, in un modo o nell’altro, non vogliono più essere dei morti che camminano».
E così, nella Roma dei giorni nostri, in mezzo ad una «società imbottita di illusioni, cocaina e disperazione», un giovane di umili origini (che è anche l’io narrante, e che presto deve fare i conti con le asprezze della vita: a cominciare dalla perdita della madre, che lo aveva cresciuto da sola, lui che da bambino si era inventato la favola di un padre in guerra in una terra lontana), appassionato di cinema, si fa largo nel caotico e difficile mondo universitario, rapito dal sogno di leggere e far leggere il mondo attraverso il pensiero, le idee. E da precario docente di filosofia, quel ragazzo poco più grande degli studenti incanta il suo pubblico (sempre numeroso), grazie ad una sciamanica capacità di raccontare i filosofi, i loro pensieri, le loro storie, come se fossero i pensieri e le storie di tutti. Con quell’immediatezza, con quella fascinazione che appartengono al miglior cinema. E sempre tenendo con sé Il visibile e l’invisibile, il libro fondamentale del suo amato Merleau-Ponty. Che aveva ridato voce, la sua voce, all’antico conosci te stesso: attraverso l’ascolto di quella «cosa che sente» che è il corpo; che è anche condizione necessaria dell’esperienza della vita e del mondo, oltre che di se stessi: «è il corpo soltanto che può condurci alle cose». Ma non sa ancora, l’io narrante (volutamente senza nome, come chi è in cerca della propria identità, del senso del proprio stare al mondo), dello sbandamento che lo attende: quando da Roma vola a Londra, dopo il dialogo con un singolare allievo, a chiusura di un ciclo estivo delle lezioni universitarie. Lì, tra le prime nebbie della capitale inglese, incontra Véronique, «bella sino all’inverosimile»: un «essere perfetto», divino e insieme demoniaco, che lo imprigiona in una vertigine amorosa senza scampo. Poi, improvvisamente, il buio. E l’inizio, per lui, del deragliamento: una fuga da sé, dal proprio essere, che pare non aver fine.
Passano dieci anni, e quel giovane senza nome – come ad inverare un destino nascosto, e da decifrare – diventa un regista cinematografico d’avanguardia di respiro internazionale. Ma gli manca ancora ciò che davvero lo faccia sentire vivo, ciò che riporti alla luce l’oro della sua moneta del vivere, ciò che possa finalmente mutarlo in se stesso. E arriva, quel qualcosa. Assolutamente inatteso. E come in un sogno: tra le parole e il sorriso di un misterioso bambino-fantasma che, pagina dopo pagina, tenace e suadente, si fa più vero e urgente della vita stessa. Un bambino che trascina l’io narrante davanti al conosci te stesso, a cominciare proprio dal corpo: da qui una liberazione da ciò che è morto, pur essendo vivo; un ritorno alla vita vera, mentre si scioglie quell’asfissiante armatura che gli impediva di ascoltarsi, di respirare. E finalmente il regista può portare sul grande schermo Il visibile e l’invisibile, come a chiudere il cerchio: ma è un film diverso, nuovo, un inno alla vita.
È una storia potente, vorticosa, di bruciante comunicatività, Respira: affidata ad una scrittura nitida, asciutta, felicemente immaginifica. Una storia piena di atmosfere gogoliane, che tradisce una narratrice vera. Una storia che è soprattutto una malìa, un sortilegio: la discesa lungo la carne e il cuore di un io narrante che riesce ad avere paura di sé, della ragione che gli ha rubato il corpo, della sua stessa «guerra silenziosa contro la vita, nell’assurdo proposito di metterle le mani davanti alla bocca per farla tacere per sempre». Una storia che è una rivolta contro l’irrealtà in cui spesso si vive, ovvero contro una realtà densa di desolante mediocrità, di disarmante follia. Una storia che rende visibile l’invisibile, che restituisce il nome autentico agli uomini e alle cose. Una storia di libertà e di rinascita, che ambisce a raccontare la vita, tutta quanta la vita. Nel segno (e nel sogno) di una missione sempre attuale: quella dei bambini, che salvano il mondo.

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